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Fritjof Capra - Wikipedia

Fritjof Capra

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Fritjof Capra (Vienna1 febbraio 1939) è un fisico, economista e scrittore austriaco. Si è occupato anche di sviluppo sostenibile, ecologia e teoria della complessità.

La sua notorietà è dovuta soprattutto al bestseller "Il Tao della Fisica" (1975).

Capra parte dall'osservazione che la fisica moderna, con la teoria della relatività di Albert Einstein e la meccanica quantistica, presenta un quadro diverso da quello materialistico della fisica ottocentesca. Le "particelle" atomiche sono in realtà concentrazioni di energia in vibrazione piuttosto che veri e propri "corpuscoli duri" com'è sottinteso nella fisica classica, in cui si dà per scontata la validità della filosofia di Cartesio, la quale separa nettamente la materia (res extensa) dalla mente o dallo spirito (res cogitans).

Nel libro Il Tao della Fisica Capra elenca una vasta serie di "affinità" tra il quadro che sembra emergere dalla fisica contemporanea e gli insegnamenti delle religioni orentali (Induismo, Buddhismo, Taoismo) e i relativi sistemi filosofici. L'universo sarebbe la manifestazione di un unico campo astratto di intelligenza universale, che darebbe origine ad ogni forma e le sue parti sarebbero intimamente connesse a formare un grande organismo unitario. In questa visione, importanza decisiva viene attribuita alle onde e al concetto di vibrazione, che sostituisce il concetto tradizionale e statico di materia (che di fatti è superato dall'attuale fisica nucleare e subnucleare).

Nel libro "Il punto di svolta" e nei successivi, Capra si allontana dagli argomenti prettamente scientifici e filosofici per affrontare temi politici, economici ed ecologici, che secondo lui deriverebbero in modo naturale dalla nuova concezione scientifica. Tali sviluppi però non sono stati seguiti o condivisi da altri scrittori e scienziati new age, come ad esempio John Hagelin.

[modifica] Critiche al mercato globale del capitale

Capra pone le seguenti critiche al commercio globale condivise anche da altri economisti:

  • Il trasporto e la produzione di un bene costano sì in termini di lavoro, ma anche e soprattutto di consumo di risorse e di inquinamento. Il prezzo reale del prodotto dovrebbe riflettere il danno ambientale dovuto sia al consumo delle risorse durante la produzione (foresta, territorio), sia all'inquinamento dovuti al trasporto.
  • Al momento, i paesi del G7, circa il 20% della popolazione, usano l'80% delle risorse. Mantenendo la stessa efficienza, per portare tutti allo stesso livello occorerebbero il 400% risorse necessarie. Dato che al massimo abbiamo il 100%, bisognerà ridurre ad un quarto o meno la necessità di materie prime per la produzione.
  • Per portare tutto il mondo al reddito procapite medio dell'Europa o degli USA sarebbe necessario raggiungere un rapporto reddito procapite/risorse utilizzate insostenibile.

In generale, quanto sopra vale anche per le categorie svantaggiate che vivono nei paesi ricchi, in quanto è sempre necessario aumentare reddito e risorse utilizzate (dal nulla nulla si produce). Inoltre, si ha come corollario che per far progredire i paesi sottosviluppati è meglio dar loro conoscenze avanzate, piuttosto che far loro ripercorrere lo sviluppo dei paesi più ricchi, passando per legna - carbone - petrolio, e spingerli ad utilizzare tecnologie sostenibili: gas naturale, energia solare, eolica, etc.

Riassumendo le critiche, costruire una rete commerciale che non sia sostenibile, ossia che porti all'esaurimento delle risorse, per far sviluppare i paesi poveri, è svantaggioso principalmente per due motivi:

  • perché al più farebbero aumentare il reddito per pochi decenni
  • perché le risorse si esaurirebbero, con lo svantaggio di aver aumentato l'inquinamento e precluso la strada ad altri metodi di sviluppo, avendo impoverito il territorio.

Secondo questo punto di vista, così come impostato il commercio equo-solidale non è sostenibile, perché il prezzo reale dovrebbe riflettere i costi necessari per riparare ai danni all'ecosistema causati dalla produzione, trasporto e vendita di un bene. Per di più, la mancanza di risorse necessarie per ripercorrere il processo di sviluppo tecnologico dei paesi e delle categorie svantaggiate rendono inadatti i processi e le economie attuali, non abbastanza flessibili per poter garantire il livello di rendimento richiesto.

Va dunque ripensata la base delle interazioni economiche e dei processi produttivi. Questo non significa che le categorie e i paesi svantaggiati debbano patire la fame, la sete, le malattie o rimanere al livello del neolitico, ma che si debbano utilizzare altri tipi di processi produttivi.

Capra fa l'esempio delle "Economic Networks", ossia reti di sistemi produttivi che utilizzano l'uno gli scarti dell'altro come materia prima, che sono molto più competitive e tendono ad ottimizzare complessivamente le produzioni, utilizzando teoricamente la sola luce del sole. Si tratta in pratica di ecosistemi di fabbriche, studiati dallo ZERI (Zero Emissions Research and Initiatives). Non sono l'unico tipo di progetti simili, denominati genericamente Zero Emissions, tuttavia sono l'unico, al momento, che sia già stato sperimentato con successo, in Benin, Brasile, Colombia, Fiji, Namibia e Zimbabwe, senza l'apporto di capitali stranieri, potendo vendere i loro prodotti a prezzi di mercato, e soprattutto grazie al solo impegno delle comunità locali - nessun apporto tecnologico non riproducibile in loco.

La critica fondamentale è che sembra irragionevole essere solidali con qualcuno comprando beni prodotti e trasportati con dei metodi che non possano essere utilizzati nel lungo periodo, che siano dannosi o che siano peggiori di altri e che siano alla portata delle categorie più svantaggiate come le carceri o comunità di recupero.

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