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Associazione culturale a difesa dell'ambiente
" Case sparse dell'agro netino "
L' associazione ha per scopo la tutela dell'ambiente e la valorizzazione del territorio.
Filosofia:
Sperimentare senza cadere nella trappola della fretta del dover fare.
Non smarrire il senso dell’origine.
Il confronto tra la nostra idea e la realtà non è scontato.
Area dei rilievi e del tavolato Ibleo.
Dichiarazione di notevole interesse pubblico dell'area comprendente la valle del fiume Tellaro e dei torrenti Tellesimo e Prainito della Cava Scardina,Cava Grande, Cava Lazzaro, Cava Croce Santa, Cava Scalarangio, ricadente nei comuni di Rosolini, Noto e Palazzolo Acreide.
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Campagna popolare per una legge che:
RICONOSCA L’AGRICOLTURA CONTADINA E LIBERI IL LAVORO DEI CONTADINI DALLA BUROCRAZIA
Sito dove poter firmare la petizione: http://www.agricolturacontadina.org/index.php
ESISTE un numero imprecisato di persone che praticano un’agricoltura di piccola scala, dimensionata sul lavoro contadino e sull’economia familiare, orientata all’autoconsumo e alla vendita diretta; un’agricoltura di basso o nessun impatto ambientale, fondata su una scelta di vita legata a valori di benessere o ecologia o giustizia o solidarietà più che a fini di arricchimento e profitto; un’agricoltura quasi invisibile per i grandi numeri dell’economia, ma irrinunciabile per mantenere fertile e curata la terra (soprattutto in montagna e nelle zone economicamente marginali), per mantenere ricca la diversità di paesaggi, piante e animali, per mantenere vivi i saperi, le tecniche e i prodotti locali, per mantenere popolate le campagne e la montagna.
Per quest’agricoltura che rischia di scomparire sotto il peso delle documentazioni imposte per lavorare e di regole tributarie, sanitarie e igieniche gravose,
per ottenere un riconoscimento che la distingua dall’agricoltura imprenditoriale e industriale, per ottenere la rimozione degli ostacoli burocratici e dei pesi fiscali che ostacolano il lavoro dei contadini e la loro permanenza sulla terra,
CHIEDIAMO CHE
Punto 1
Chi coltiva un appezzamento di terra, qualunque sia la sua dimensione, per l’autoconsumo familiare e per la vendita diretta e senza intermediari, possa liberamente:
a. trasformare e confezionare i propri prodotti nell’abitazione o nei suoi annessi, attraverso le attrezzature e gli utensili usati nella consueta gestione domestica;
b. vendere i propri prodotti agricoli (comprese le sementi autoriprodotte), alimentari e di artigianato manuale ai consumatori finali, senza che ciò sia considerato atto di commercio.
Punto 2
I contadini che, come occupazione prevalente, praticano la coltivazione del fondo e del bosco o l’allevamento o la raccolta di erbe e frutti spontanei, esclusivamente per l’autoconsumo familiare e per la vendita diretta ai consumatori finali e agli esercenti locali di vendita al dettaglio e ristorazione, e che non siano anche lavoratori dipendenti o liberi professionisti né abbiano dipendenti, salvo eventuali avventizi impiegati in attività di raccolta
SIANO ESONERATI DA
a. il regime Iva, la tenuta di registri contabili, l’obbligo di iscrizione alla camera di commercio; ogni imposta o tassa relativa all’occupazione prevalente, alla propria abitazione e al fondo, comprese quelle di registrazione e proprietà relativa all’acquisto di terreni confinanti con i propri e confinanti tra loro;
b. l’applicazione del sistema HACCP e, più in generale, le norme vigenti in materia di igiene e sicurezza degli alimenti;
c. i vincoli progettuali e urbanistici per:
- la costruzione di stalle, serre e altri annessi sui propri terreni e per l’esclusiva occupazione prevalente, purché realizzati con una dimensione massima di 30 mq e a un piano fuori terra, secondo tipologie bene inserite nel contesto ambientale, con strutture solo rimovibili e senza possibilità di cambio della destinazione d’uso;
- la ricostruzione di manufatti preesistenti in terra, in legno o in pietra a secco;
ABBIANO DIRITTO DI
d. macellare direttamente nel proprio fondo il bestiame nato e allevato nel podere, limitatamente a un numero di capi proporzionati ai membri della famiglia e ai propri ospiti, e seppellirne i resti secondo le consuetudini locali, fatti salvi gravi motivi sanitari o la non idoneità dei terreni;
e. esercitare nella propria abitazione e sul proprio fondo attività di ospitalità rurale, fino a un massimo di dieci coperti e posti letto, senza necessità di autorizzazioni e senza essere soggetti a regole fiscali e sanitarie;
f. pagare i minimi contributi assistenziali e previdenziali;
g. ricevere, attraverso le regioni, servizi gratuiti a domicilio di:
- assistenza veterinaria e agronomica;
-assistenza burocratica e ricezione per qualunque domanda, dichiarazione, denuncia o modulistica di altro genere a qualunque titolo richiesta dall’amministrazione pubblica o comunque dovuta per legge.
Punto 3
I contadini definiti nel punto 2 siano registrati in uno specifico albo del comune di residenza e possano attestarsi con autocertificazione, vera fino a prova di falso.
Punto 4
Il lavoro prestato ai contadini definiti nel punto 2, nel loro fondo, gratuitamente o come apprendistato o come scambio di opere, sia assimilato al volontariato e – salvo l’uso di scale o di macchine e attrezzature elettriche o a motore - non sia assoggettato a obblighi contributivi e previdenziali.
Punto 5
Siano abolite le limitazioni sui contratti agrari in natura, purché favorevoli ai conduttori per una misura non inferiore al 70% del raccolto.
ELENCO RIFERIMENTI REGIONALI DELLE ASSOCIAZIONI CO-PROMOTRICI DELLA CAMPAGNA POPOLARE PER L’AGRICOLTURA CONTADINA
SICILIA
Aiab-Vito Bagliesi
aiab.Sicilia@aiab.it 0922948966
Alpa-Salvatore Sparacio
salvatore.sparacio@libero.it
Coop.Le Galline felici-Roberto Li Calzi
robertolicalzi@legallinefelici.it 3405467360
Wwoof-Vittorio Ferrario
puroesemplice@tiscali.it 3687041944
Sito dove poter firmare la petizione: http://www.agricolturacontadina.org/index.php
RISPARMIARE SULLA SPESA
Lo shopping rende felici oppure no? Nessuno può dirlo in via generale, è una domanda a cui ognuno risponderà in modo diverso. L'atto di acquisto non rappresenta solo la manifestazione di un bisogno fisico ma anche di uno stato d'animo personale. Detto questo, va comunque considerato l'effetto "Ulisse", ossia la tentazione di fare qualcosa di cui poi ci si debba pentire. Ognuno deve imparare a riconoscere l'esistenza dei propri comportamenti impulsivi e prevenirli. In gioco c'è il denaro nel proprio portafoglio. Poiché lo shopping è una spesa, ossia una riduzione del vostro reddito, è buona norma valutare attentamente ogni aspetto prima di acquistare un qualsiasi prodotto. Proviamo a buttare giù un pò consigli pratici:
Non acquistare mai di impulso. Se vi piace un prodotto evitate di comprarlo immediatamente. Prendetevi 24 ore prima di farlo, e se sarete ancora della stessa idea vorrà dire che lo desideravate veramente.
Comparare i prezzi.La concorrenza tra negozi, aziende e ipermercati potrebbe consentire di risparmiare molte centinaia di euro ogni mese. E' buona norma conservare lo scontrino per confrontare i prezzi della spesa settimanale o prendere nota dei prezzi in diversi negozi prima di acquistare una Tv, un elettrodomestico o qualsiasi altra spesa di prodotti durevoli. Nel caso delle automobili è sempre conveniente farsi fare almeno 3-4 preventivi da diversi concessionari anche della stessa marca. I venditori hanno margini di sconto del 5-10% da applicare sul prezzo di listino e che utilizzano sulla base della trattativa di vendita.
Evitare l'usa e getta. I prodotti usa e getta costano poco ma causano grandi quantità di rifiuti da gettare in discarica o bruciare negli inceneritori.
Evitare le confezioni voluminose. I prodotti confezionati con package voluminosi, colorati e inutili sono fatti al solo scopo di convincere all'acquisto emozionale. Non aggiungono nulla alla qualità del prodotto riempiendo in pochi minuti il vostro sacco dell'immondizia. Favorendo l'acquisto di prodotti con confezioni ben razionalizzate darete un forte segnale alle aziende produttrici.
Evitare le merci provenienti da molto lontano. Le merci prodotte in luoghi lontani possono anche avere un prezzo inferiore (es. in alcuni paesi il costo della manodopera è inferiore) facendovi risparmiare. In realtà, un acquisto del genere implica anche effetti negativi: (a) il trasporto della merce genera sempre inquinamento. I prodotti locali sono invece molto vicini al consumatore, favorendoli aumenterete l'occupazione locale e contribuirete a ridurre l'inquinamento da trasporto. (b) favorire paesi con basso costo della manodopera o minore tutela del lavoro aumenta le forme di sfruttamento minorile nei paesi in via di sviluppo (es. i palloni costruiti da bambini in alcuni paesi asiatici).
L'acquisto diretto dai piccoli coltivatori diretti. Abitate in un condominio? Formate un gruppo di consumo per acquistare prodotti agricoli, frutta, ortaggi e verdura direttamente dai piccoli coltivatori agricoli delle campagne circostanti alla vostra città risparmiando molti euro sulla spesa settimanale. I prezzi di acquisto saranno notevolmente inferiori e aiuterete in questo modo l'occupazione locale e il lavoro dei piccoli coltivatori diretti spesso sfruttati dalla grande distribuzione.
Creare un gruppo di acquisto GAS. I consumatori hanno un grande potere sulle imprese ma anche il grande svantaggio di essere isolati tra loro e quindi molto deboli. Provate a formare un gruppo di consumo di 15-20 persone, meglio se condomini in quanto avrete comunque modo di vedervi periodicamente per discutere anche altri argomenti. Contattate gli esercenti sotto casa o anche i piccoli supermercati chiedendo una convenzione o uno sconto sulla spesa offrendo loro in cambio di praticare gli acquisti presso la loro attività. Il loro interesse sarà immediato. Formando un gruppo di consumo potrete anche decidere di acquistare beni di consumo durevole presso lo stesso esercente in cambio di un forte sconto per tutti. Esempio decidere tutti di acquistare un medesimo TV color, frigorifero, una tenda per il balcone ecc. dallo stesso negoziante o installatore. In questi casi è sufficiente anche essere in 4-5 persone per ottenere un forte sconto sul totale della spesa.
Riutilizzare i sacchetti della spesa. L'argomento è contraddittorio, se da un lato l'uso dei sacchetti di carta consente di non utilizzare quelli di plastica ed essere anche biodegrabile, dall'altro causa un maggiore taglio di alberi per produrli. Usare al meglio i sacchetti di plastica può ridurre il loro impatto ambientale. Ad esempio utilizzandoli per gettare i rifiuti di casa o riutilizzarli per le spese successive. Esistono plastiche parzialmente biodegradabili, hanno un maggiore costo ma consentono un minore impatto ambientale. Chiedete al vostro supermercato di utilizzarle. La soluzione migliore è comunque quella più semplice ed a portata di tutti: usate una borsa di tela al posto dei sacchetti di plastica, può essere riutilizzata per anni e alcune hanno anche le ruote come i vecchi carrelli della spesa delle nostre nonne. Un passo indietro per farne molti in avanti.
Riciclare le bottiglie con vuoto a perdere. L'acquisto di bottiglie con vuoto a perdere favorisce il riciclaggio del vetro e riduce la quantità di bottiglie di plastica nei rifiuti.
Evitare gli imballaggi delle verdure. La frutta e verdura venduta sciolta e senza imballaggio ti consente di toccare con mano il prodotto e di risparmiare sull'imballaggio. Questi ultimi provocano una grande quantità di rifiuti alla fine del ciclo di consumo.
Scambiare giornali e periodici con colleghi e amici. Ogni giornale o periodico consuma carta, ossia alberi tagliati in qualche parte del mondo. Spesso si acquista un giornale per leggere soltanto poche pagine, invece di buttarlo prestatelo ad un collega o amico. Se non vi serve l'inserto che stanno abbinando al giornale potete anche rifiutarlo, gli inserti rifiutati sono riconsegnati all'editore del giornale che, presto o tardi, potrebbe decidere di non allegarli più.
Usare la borsa termica. L'acquisto di prodotti surgelati deve avvenire sempre mediante una borsa termica in grado di mantenere bassa la loro temperatura. Usando la borsa termica i prodotti non obbligaranno il congelatore a doverli riportare a basse temperature evitando quindi un maggiore consumo di corrente. Inoltre, scongelare e ricongelare gli alimenti può far perdere le caratteristiche nutritive e, in alcuni casi, renderli nocivi per la salute.
Leggere le etichette degli alimenti. Prima di acquistare un prodotto alimentare soffermatevi a leggere l'etichetta, la lista degli ingredienti e l'eventuale presenza di coloranti. L'uso dei coloranti soddisfa l'occhio di chi li mangia ma non aggiunge nulla alla qualità dell'alimento. Provate a valutare un prodotto tramite l'etichetta e gli ingredienti, senza farvi influenzare dalla marca. Potreste scoprire di risparmiare anche molte decine di euro sulla vostra spesa settimanale.
Posate e bicchieri di plastica. Le stoviglie di plastica sono particolarmente adatte in grandi occasioni come le feste, nessuno può negarlo. Rispetto alle posate di metalli e ai bicchieri di vetro hanno però l'handicap di essere "usa e getta" e di aumentare il carico dei rifiuti non biodegradabili. L'uso quotidiano delle stoviglie tradizionali per pranzi di poche persone è la strada migliore. E' vero, dovrete lavarle ogni volta consumando sapone e producendo comunque inquinamento, ma sarà in ogni caso un minore impatto per l'ambiente.
Se avete altri consigli non esitate a suggerirli, li aggiungeremo a questa lista.
COSA SONO I GRUPPI DI ACQUISTO SOLIDALE (GAS)?
I G.A.S. nascono dal desiderio di costruire dal basso un'economia sana, in cui l'eticità valga più del profitto e la qualità sia più importante della quantità: una società in cui le persone possano ritrovare il tempo per incontrarsi ed instaurare con il prossimo rapporti più umani.
Ciascun gruppo nasce per motivazioni proprie, generalmente alla base vi è la ricerca di una alternativa al modello di consumo e di economia globale imperante. In linea generale i G.A.S. non nascono solo per “spuntare” il prezzo più basso di acquisto, facendo leva sulla quantità dell'ordine, ma in realtà sposa una filosofia più ampia che si basa sui concetti di condivisione e solidarietà, insieme alla ricerca di uno stile basato sul principio della sobrietà.
La Condivisione è presente nelle scelte da fare, come decidere quali prodotti acquistare e da chi, nei problemi da risolvere e nelle opportunità da sfruttare.
Il concetto di Solidarietà va oltre l'idea base di aiutarsi vicendevolmente all'interno del gruppo e influenza la scelta dei prodotti da acquistare e sopratutto da chi.
Il gruppo aiuta a non sentirsi soli nella propria critica al consumismo, a scambiarsi esperienze ed appoggio, a verificare le proprie scelte sulla salubrità dell'ambiente come l'agricoltura biologica, il risparmio energetico, riduzione e riciclo dei rifiuti, la filiera corta, l'economia ecosostenibile solidale.
La filosofia e le motivazioni alla base dei GAS sono in sintesi:
monitorare il proprio consumo per cambiare l'economia dalle piccole cose, dai gesti quotidiani, cominciando a mettere in pratica da subito i principi dell'economia solidale, mostrando coerentemente e concretamente quali azioni si possono attuare nell'immediato.
aggregare persone e realtà diverse attorno al concetto comune di salvaguardia e rispetto dell'ambiente, del territorio e della salute umana. Mettersi in rete con altre realtà che operano sul territorio è fondamentale per facilitare lo scambio di idee , affinchè la soluzione di un problema specifico in un territorio diventi patrimonio di tutti.
coinvolgere la comunità locale attraverso l'organizzazione di serate, laboratori, mostre promuovendo uno stile di vita responsabile e una impronta ecologica sostenibile.
consumare meno e meglio guadagnando in qualità della vita, gustando il piacere dell'autoproduzione, riscoprendo tradizioni e scoprendo nuove culture.
coniugare qualità e risparmio attraverso la costituzione di filiere corte: “comprare direttamente alla fonte” e “conoscere ciò che si mangia”
ottimizzare il trasporto delle merci: si compra nei posti più vicini
invogliare ed indirizzare la produzione ortofrutticola verso metodi rispettosi della natura e dell'ambiente offrendo loro un'alternativa alla grande distribuzione
creare un sentimento consapevole nella fase di scelta dei prodotti, passando dalla figura passiva del consumatore a quella critica del cittadino
fornire e sostenere con lo strumento degli acquisti collettivi una possibilità di sbocco a molti piccoli produttori che si trovano esclusi dai canali della grande distribuzione
per informazioni: http://www.retegas.org/index.php
Movimento per la Decrescita Felice di Maurizio Pallante
http://decrescitafelice.it/
Considerare la decrescita come una condizione felice può sembrare una contraddizione, ma in realtà indica un nuovo sistema di valori e una prospettiva economica e produttiva finalizzata allo sviluppo di tecnologie che frenino la catastrofe ambientale causata dai processi produttivi.
La decrescita non è una rinuncia, una riduzione del benessere, un ritorno al passato. Piuttosto è una scelta consapevole, un miglioramento della qualità della vita, una rispettosa attenzione per il futuro. E la sobrietà non è solo uno stile di vita, ma una guida per la ricerca scientifica.
La decrescita è l’elogio dell’ozio, della lentezza e della durata.
Maurizio Pallante : Nato a Roma nel 1947. Laureato in lettere, e stato insegnante e preside. Da qualche anno vive in una cascina tra i boschi e le colline del Monferrato astigiano, dove svolge attività di ricerca e di pubblicazione saggistica. Due sono i filoni della sua opera: le politiche energetiche e tecnologie ambientali e la letteratura.
Progetti Alternativi per l'Energia e l'Ambiente
PAEA http://www.paea.it/
L'associazione nasce al fine di promuovere lo sviluppo, la crescita e lo scambio personale e culturale perseguendo finalità di tutela ambientale e utilità sociale.
Da oltre dieci anni PAEA svolge attività di promozione, informazione, educazione e realizzazione di progetti relativi al risparmio e all’efficienza energetica e idrica, all'uso delle energie rinnovabili, alla bioedilizia, e alla tutela ambientale e collabora con Centri europei per le energie rinnovabili esistenti da più di trent'anni, quali il C.A.T. (Centre for Alternative Technology) in Galles e l'E.u.Z. (Energie und Umweltzentrum) in Germania.
Il tempo della decrescita
Introduzione alla frugalità felice
Serge Latouche, Didier Harpagès
Editore: Eleuthera
Serge Latouche (Vannes 1940), economista e antropologo francese, professor emerito di economia all’Università di Paris Sud-Orsay ?, si dichiara da tempo un obiettore di crescita. Ed è proprio sul concetto di decrescita che basa la sua riflessione sui modi per uscire dal devastante sviluppismo imposto dall’Occidente a se stesso e al resto del mondo.
In Italia sono stati pubblicati molti dei suoi scritti, tra cui Il pianeta dei naufraghi, La megamacchina, L'economia svelata, Giustizia senza limiti, La scommessa della decrescita, Economia e decrescita, L’invenzione dell’economia.
Didier Harpagès è professore di scienze economiche e sociali in un liceo di Parigi.
Il Consapevole
http://www.ilconsapevole.it
Il Consapevole è una rivista trimestrale illustrata edita dal Gruppo Editoriale Macro.
Da anni il Consapevole porta avanti un progetto culturale importante. Autosufficienza, permacultura, decrescita, cultura della transizione, abitudine alle "buone pratiche", risparmio energetico, riciclaggio dei rifiuti, bioarchitettura e bioedilizia, terapie naturali, genitorialità sono i nostri temi, le parole chiave che ci guidano nel lavoro quotidiano, la nostra inesauribile fonte di energia.
Il Manifesto del doposviluppo di Serge Latouche: La corrente di pensiero che si riferisce alla decrescita ha conservato fino a oggi un carattere quasi confidenziale. Nel corso di una storia già lunga ha prodotto, ciò nonostante, una letteratura non disprezzabile che si trova rappresentata in numerosi campi di ricerca e d'azione nel mondo (1).
Nata negli anni sessanta, il decennio dello sviluppo, da una riflessione critica sui presupposti dell'economia e sul fallimento delle politiche di sviluppo, questa corrente riunisce ricercatori, attori sociali del Nord come del Sud portatori di analisi e di esperienze innovatrici sul piano economico, sociale e culturale. Nel corso degli anni si sono intrecciati dei legami spesso informali tra le sue diverse componenti e le esperienze e le riflessioni si sono mutuamente alimentate. Il movimento per la decrescita s'inscrive dunque nel più amppio movimento dell'International Network for Cultural Alternatives to Development (INCAD) e si riconosce pienamente nella dichiarazione del 4 maggio 1992. Intende proseguire e ampliare il lavoro così cominciato.Il movimento mette al centro della sua analisi la critica radicale della nozione di sviluppo che, nonostante le evoluzioni formali conosciute, resta il punto di rottura decisivo in seno al movimento di critica al capitalismo e della globalizzazione. Ci sono da un lato quelli che, come noi, vogliono uscire dallo sviluppo e dall'economicismo e, dall'altro, quelli che militano per un problematico "altro" sviluppo (o una non meno problematica "altra" globalizzazione). A partire da questa critica, la corrente procede a una vera e propria "decostruzione" del pensiero economico. Sono pertanto rimesse in discussione le nozioni di crescita, povertà, bisogno, aiuto ecc.Le associazioni e i membri della presente rete si riconoscono in tale impresa. Dopo il fallimento del socialismo reale e il vergognoso scivolamento della socialdemocrazia verso il social-liberalismo, noi pensiamo che solo queste analisi possano contribuire a un rinnovamento del pensiero e alla costruzione di una società veramente alternativa alla società di mercato. Rimettere radicalmente in questione il concetto di sviluppo è fare della sovversione cognitiva, e questa è la condizione preliminare del sovvertimento politico, sociale e culturale.Il momento ci sembra favorevole per uscire dalla semiclandestinità dove siamo stati relegati finora e il grande successo del colloquio di La ligne d'horizon (2), "Défaire le développement, refaire le monde", che si è tenuto presso l'UNESCO dal 28 febbraio al 3 marzo 2002, rafforza le nostre convinzioni e le nostre speranze.Rompere l'immaginario dello sviluppo e decolonizzare le mentiDi fronte alla globalizzazione, che non è altro che il trionfo planetario del mercato, bisogna concepire e volere una società nella quale i valori economici non siano più centrali (o unici). L'economia dev'essere rimessa al suo posto come semplice mezzo della vita umana e non come fine ultimo. Bisogna rinunciare a questa folle corsa verso un consumo sempre maggiore. Ciò non è solo necessario per evitare la distruzione definitiva delle condizioni di vita sulla Terra ma anche e soprattutto per fare uscire l'umanità dalla miseria psichica e morale. Si tratta di una vera decolonizzazione del nostro immaginario e di una diseconomicizzazione delle menti indispensabili per cambiare davvero il mondo prima che il cambiamento del mondo ce lo imponga nel dolore. Bisogna cominciare con il vedere le cose in altro modo perché possano diventare altre, perché sia possibile concepire soluzioni veramente originali e innovatrici. Si tratta di mettere al centro della vita umana altri significati e altre ragioni d'essere che l'espansione della produzione e del consumo.La parola d'ordine della rete è dunque "resistenza e dissidenza". Resistenza e dissidenza con la testa ma anche con i piedi. Resistenza e dissidenza come atteggiamento mentale di rifiuto, come igiene di vita. Resistenza e dissidenza come atteggiamento concreto mediante tutte le forme di autorganizzazione alternativa. Ciò significa anche il rifiuto della complicità e della collaborazione con quella impresa dissennata e distruttiva che costituisce l'ideologia dello sviluppo.Illusioni e rovine dello sviluppoLa attuale globalizzazione ci mostra quel che lo sviluppo è stato e che non abbiamo mai voluto vedere. Essa è lo stadio supremo dello sviluppo realmente esistente e nello stesso tempo la negazione della sua concezione mitica. Se lo sviluppo, effettivamente, non è stato altro che il seguito della colonizzazione con altri mezzi, la nuova mondializzazione, a sua volta, non è altro che il seguito dello sviluppo con altri mezzi. Conviene dunque distinguere lo sviluppo come mito dallo sviluppo come realtà storica.
Si può definire lo sviluppo realmente esistente come una impresa che mira a trasformare in merci le relazioni degli uomini tra loro e con la natura. Si tratta di sfruttare, di valorizzare, di trarre profitto dalle risorse naturali e umane. Progetto aggressivo verso la natura e verso i popoli, è -come la colonizzazione che la precede e la mondializzazione che la segue- un'opera al tempo stesso economica e militare di dominazione e di conquista. È lo sviluppo realmente esistente, quello che domina il pianeta da tre secoli, che causa i problemi sociali e ambientali attuali: esclusione, sovrappopolazione, povertà, inquinamenti diversi ecc.Quanto al concetto mitico di sviluppo, è nascosto in un dilemma: da una parte, esso designa tutto e il suo contrario, in particolare l'insieme delle esperienze storiche e culturali dell'umanità, dalla Cina degli Han all'impero degli Inca. In questo caso non designa nulla in particolare, non ha alcun significato utile per promuovere una politica, ed è meglio sbarazzarsene. Dall'altra parte, esso ha un contenuto proprio, il quale designa allora necessariamente ciò che possiede in comune con l'avventura occidentale del decollo dell'economia così come si è organizzata dalla rivoluzione industriale in Inghilterra negli anni 1750-1800. In questo caso, quale che sia l'aggettivo che gli si affianca, il contenuto implicito o esplicito dello sviluppo è la crescita economica, l'accumulazione del capitale con tutti gli effetti positivi e negativi che si conoscono. Ora, questo nucleo centrale che tutti gli sviluppi hanno in comune con tale esperienza, è legato a rapporti sociali ben particolari che sono quelli del modo di produzione capitalistico. Gli antagonisti di "classe" sono ampiamente occultati dalla pregnanza di "valori" comuni ampiamente condivisi: il progresso, l'universalismo, il dominio della natura, la razionalità quantificante. Questi valori sui quali si basa lo sviluppo, e in particolare il progresso, non corrispondono affatto ad aspirazioni universali profonde. Sono legati alla storia dell'Occidente e trovano scarsa eco nelle altre società. Al di fuori dei miti che la fondano, l'idea di sviluppo è totalmente sprovvista di senso e le pratiche che le sono legate sono rigorosamente impossibili perché impensabili e proibite. Oggi questi valori occidentali sono precisamente quelli che bisogna rimettere in discussione per trovare una soluzione ai problemi del mondo contemporaneo ed evitare le catastrofi verso le quali l'economia mondiale ci trascina. Il doposviluppo è al contempo postcapitalismo e postmodernità.I nuovi aspetti dello sviluppoPer tentare di scongiurare magicamente gli effetti negativi dello sviluppo, siamo entrati nell'era dello sviluppo aggettivato. Si è assistito alla nascita di nuovi sviluppi autocentranti, endogeni, partecipativi, comunitari, integrati, autentici, autonomi e popolari, equi… senza parlare dello sviluppo locale, del microsviluppo, dell'endosviluppo, dell'etnosviluppo! Affiancando un aggettivo al concetto di sviluppo, non si tratta veramente di rimettere in discussione l'accumulazione capitalistica; tutt'al più si pensa di aggiungere un risvolto sociale o una componente ecologica alla crescita economica come un tempo si è potuto aggiungerle una dimensione culturale. Questo lavoro di ridefinizione dello sviluppo riguarda, in effetti, sempre più o meno la cultura, la natura e la giustizia sociale. In tutto ciò si tratta di guarire un male che colpirebbe lo sviluppo in modo accidentale e non congenito. Per l'occasione è stato addirittura creato uno spauracchio, il malsviluppo. Questo mostro è solo una chimera, poiché il male non può colpire lo sviluppo per la buona ragione che lo sviluppo immaginario è per definizione l'incarnazione stessa del bene. Il buon sviluppo è un pleonasmo perché lo sviluppo significa buona crescita, perché anche la crescita è un bene contro il quale nessuna forza del male può prevalere.È l'eccesso stesso delle prove del suo carattere benefico che meglio rivela la frode dello sviluppo.
Lo sviluppo sociale, lo sviluppo umano, lo sviluppo locale e lo sviluppo durevole non sono altro che gli ultimi nati di una lunga serie di innovazioni concettuali tendenti a far entrare una parte di sogno nella dura realtà della crescita economica. Se lo sviluppo sopravvive ancora lo deve soprattutto ai suoi critici! Inaugurando l'era dello sviluppo aggettivato (umano, sociale ecc.), gli umanisti canalizzano le aspirazioni delle vittime dello sviluppo del Nord e del Sud strumentalizzandoli. Lo sviluppo durevole è il più bel successo di quest'arte di ringiovanimento di vecchie cose. Esso illustra perfettamente il procedimento di eufemizzazione mediante aggettivo. Lo sviluppo durevole, sostenibile o sopportabile (sustainable), portato alla ribalta alla Conferenza di Rio del giugno 1992, è un tale "fai da te" concettuale, che cambia le parole invece di cambiare le cose, una mostruosità verbale con la sua antinomia mistificatrice. Ma nello stesso tempo, con il suo successo universale, attesta la dominazione della ideologia dello sviluppo. Ormai la questione dello sviluppo non riguarda soltanto i paesi del Sud, ma anche quelli del Nord.
Se la retorica pura dello sviluppo con la pratica legata dell'espertocrazia volontarista non ha più successo, il complesso delle credenze escatologiche in una prosperità materiale possibile per tutti e rispettosa dell'ambiente resta intatto. L'ideologia dello sviluppo manifesta la logica economica in tutto il suo rigore. Non c'è posto in questo paradigma per il rispetto della natura reclamato dagli ecologisti né per il rispetto dell'uomo reclamato dagli umanisti. Lo sviluppo realmente esistente appare allora nella sua verità. E lo sviluppo alternativo come un miraggio.Oltre lo sviluppoParlare di doposviluppo non è soltanto lasciar correre l'immaginazione su ciò che potrebbe accadere in caso di implosione del sistema, fare della fantapolitica o esaminare un problema accademico. È parlare della situazione di coloro che attualmente al Nord come al Sud sono esclusi o sono in procinto di diventarlo, di tutti coloro, dunque, per i quali il progresso è un'ingiuria e una ingiustizia, e che sono indubbiamente i più numerosi sulla faccia della Terra. Il doposviluppo si delinea già tra noi e si annuncia nella diversità.Il doposviluppo, in effetti, è necessariamente plurale. Si tratta della ricerca di modalità di espansione collettiva nelle quali non sarebbe privilegiato un benessere materiale distruttore dell'ambiente e del legame sociale. L'obiettivo della buona vita si declina in molti modi a seconda dei contesti. In altre parole, si tratta di ricostruire nuove culture. Questo obiettivo può essere chiamato l'humran (crescita/rigoglio) come in Ibn Khald?n, swadeshi-sarvo-daya (miglioramento delle condizioni sociali di tutti) come in Gandhi, o bamtaare (stare bene assieme) come dicono i toucouleurs, o in altro modo. L'importante è esprimere la rottura con l'impresa di distruzione che si perpetua sotto il nome di sviluppo oppure, oggi, di mondializzazione. Per gli esclusi, per i naufraghi dello sviluppo, può trattarsi soltanto di una sorta di sintesi tra la tradizione perduta e la modernità inaccessibile. Queste creazioni originali di cui si possono trovare qua e là degli inizi di realizzazione aprono la speranza di un doposviluppo. Bisogna al tempo stesso pensare e agire globalmente e localmente. È solo nella mutua fecondazione dei due approcci che si può tentare di sormontare l'ostacolo della mancanza di prospettive immediate. Il doposviluppo e la costruzione di una società alternativa non si declinano necessariamente nello stesso modo al Nord e al Sud. Proporre la decrescita conviviale come uno degli obiettivi globali urgenti e identificabili attualmente e mettere in opera alternative concrete localmente sono prospettive complementari.Decrescere e abbellireLa decrescita dovrebbe essere organizzata non soltanto per preservare l'ambiente ma anche per ripristinare il minimo di giustizia sociale senza la quale il pianeta è condannato all'esplosione. Sopravvivenza sociale e sopravvivenza biologica sembrano dunque strettamente legate. I limiti del patrimonio naturale non pongono soltanto un problema di equità intergenerazionale nel condividere le disponibilità, ma anche un problema di giusta ripartizione tra gli esseri attualmente viventi dell'umanità.
La decrescita non significa un immobilismo conservatore. La saggezza tradizionale considerava che la felicità si realizzasse nel soddisfare un numero ragionevolmente limitato di bisogni. L'evoluzione e la crescita lenta delle società antiche si integravano in una riproduzione allargata ben temperata, sempre adattata ai vincoli naturali.Organizzare la decrescita significa, in altre parole, rinunciare all'immaginario economico, vale a dire alla credenza che di più è uguale a meglio. Il bene e la felicità possono realizzarsi con costi minori. Riscoprire la vera ricchezza nel fiorire di rapporti sociali conviviali in un mondo sano può ottenersi con serenità nella frugalità, nella sobrietà e addirittura con una certa austerità nel consumo materiale. La parola d'ordine della decrescita ha soprattutto come fine il segnare con fermezza l'abbandono dell'obiettivo insensato della crescita per la crescita, obiettivo il cui movente non è altro che la ricerca sfrenata del profitto per i detentori del capitale. Evidentemente, non si prefigge un rovesciamento caricaturale che consisterebbe nel raccomandare la decrescita per la decrescita.In particolare, la decrescita non è la crescita negativa. Si sa che il semplice rallentamento della crescita sprofonda le nostre società nel disordine con riferimento alla disoccupazione e all'abbandono dei programmi sociali, culturali e ambientali che assicurano un minimo di qualità della vita. Si può immaginare quale catastrofe sarebbe un tasso di crescita negativa! Allo stesso modo non c'è cosa peggiore di una società lavoristica senza lavoro e, peggio ancora, di una società della crescita senza crescita. La decrescita è dunque auspicabile soltanto in una "società di decrescita". Ciò presuppone tutt'altra organizzazione in cui il tempo libero è valorizzato al posto del lavoro, dove le relazioni sociali prevalgono sulla produzione e sul consumo dei prodotti inutili o nocivi. La riduzione drastica del tempo dedicato al lavoro, imposta per assicurare a tutti un impiego soddisfacente, è una condizione preliminare. Ispirandosi alla carta su "consumi e stili di vita" proposta al Forum delle ONG di Rio, è possibile sintetizzare il tutto in un programma di sei "R": rivalutare, ristrutturare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare. Questi sono i sei obiettivi interdipendenti un circolo virtuoso di decrescita conviviale e sostenibile. Rivalutare significa rivedere i valori in cui crediamo e in base ai quali organizziamo la nostra vita, nonché cambiare i valori che devono essere cambiati. Ristrutturare significa adattare la produzione e i rapporti sociali in funzione del cambiamento dei valori. Per ridistribuire s'intende la ridistribuzione delle ricchezze e dell'accesso al patrimonio naturale. Ridurre vuol dire diminuire l'impatto sulla biosfera dei nostri modi di produrre e di consumare. Per fare ciò bisogna riutilizzare gli oggetti e i beni d'uso invece di gettarli e sicuramente riciclare i rifiuti non compressibili che produciamo.Tutto ciò non è necessariamente antiprogressista e antiscientifico. Si potrebbe, nello stesso tempo, parlare di un'altra crescita in vista del bene comune, se il termine non fosse troppo alternativo.
Noi non rinneghiamo la nostra appartenenza all'Occidente, di cui condividiamo il sogno progressista, sogno che ci ossessiona. Tuttavia, aspiriamo a un miglioramento della qualità della vita e non a una crescita illimitata del PIL. Reclamiamo la bellezza delle città e dei paesaggi, la purezza delle falde freatiche e l'accesso all'acqua potabile, la trasparenza dei fiumi e la salute degli oceani. Esigiamo un miglioramento dell'aria che respiriamo, del sapore degli alimenti che mangiamo. C'è ancora molta strada da fare per lottare contro l'invasione del rumore, per ampliare gli spazi verdi, per preservare la fauna e la flora selvatiche, per salvare il patrimonio naturale e culturale dell'umanità, senza parlare dei progressi da fare nella democrazia. La realizzazione di questo programma è parte integrante dell'ideologia del progresso e presuppone il ricorso a tecniche sofisticate alcune delle quali sono ancora da inventare. Sarebbe ingiusto tacciarci come tecnofobi e antiprogressisti con il solo pretesto che reclamiamo un "diritto di inventario" sul progresso e sulla tecnica. Questa rivendicazione è un minimo per l'esercizio della cittadinanza.
Semplicemente, per i paesi del Sud, colpiti in pieno dalle conseguenze negative della crescita del Nord, non si tratta tanto di decrescere (o di crescere, d'altra parte), quanto di riannodare il filo della loro storia rotto dalla colonizzazione, dall'imperialismo e dal neoimperialismo militare, politico, economico e culturale. La riappropriazione delle loro identità è preliminare per dare ai loro problemi le soluzioni appropriate. Può essere sensato ridurre la produzione di certe colture destinate all'esportazione (caffè, cacao, arachidi, cotone ecc., ma anche fiori recisi, gamberi di allevamento, frutta e verdure come primizie ecc.), come può risultare necessario aumentare la produzione delle colture per uso alimentare. Si può pensare inoltre a rinunciare all'agricoltura produttivista come al Nord per ricostituire i suoli e le qualità nutrizionali, ma anche, senza dubbio, fare delle riforme agrarie, riabilitare l'artigianato che si è rifugiato nell'informale ecc. Spetta ai nostri amici del Sud precisare quale senso può assumere per loro la costruzione del doposviluppo.In nessun caso, la rimessa in discussione dello sviluppo può ne deve apparire come una impresa paternalista e universalista che la assimilerebbe a una nuova forma di colonizzazione (ecologista, umanitaria…) Il rischio è tanto più forte in quanto gli ex colonizzati hanno interiorizzato i valori del colonizzatore. L'immaginario economico, e in particolare l'immaginario dello sviluppo, è senza dubbio ancora più pregnante al Sud che al Nord. Le vittime dello sviluppo hanno la tendenza a non vedere altro rimedio alle loro disgrazie che un aggravarsi del male. Penano che l'economia sia il solo mezzo per risolvere la povertà quando è proprio lei che la genera. Lo sviluppo e l'economia sono il problema e non la soluzione; continuare a pretendere e volere il contrario fa parte del problema.Una decrescita accettata e ben meditata non impone alcuna limitazione nel dispendio di sentimenti e nella produzione di una vita festosa o addirittura dionisiaca.Sopravvivere localmenteSi tratta di essere attenti al reperimento delle innovazioni alternative: imprese cooperative in autogestione, comunità neorurali, LETS e SEL (3), autorganizzazione degli esclusi del Sud. Queste esperienze che noi intendiamo sostenere o promuovere ci interessano non tanto per se stesse, quanto come forme di resistenza e di dissidenza al processo di aumento della mercificazione totale del mondo. Senza cercare di proporre un modello unico, noi ci sforziamo di realizzare in teoria e in pratica una coerenza globale dell'insieme di queste iniziative.Il pericolo della maggior parte delle iniziative alternative è, in effetti, di chiudersi nella nicchia che hanno trovato all'inizio invece di lavorare alla costruzione e al rafforzamento di un insieme più vasto. L'impresa alternativa vive o sopravvive in un ambiente che è e dev'essere diverso dal mercato mondializzato. È questo ambiente dissidente che bisogna definire, proteggere, conservare, rinforzare sviluppare attraverso la resistenza. Piuttosto che battersi disperatamente per conservare la propria nicchia nell'ambito del mercato mondiale, bisogna militare per allargare e approfondire una vera società autonoma ai margini dell'economia dominante.Il mercato mondializzato con la sua concorrenza accanita e spesso sleale non è l'universo dove di muove e deve muoversi l'organizzazione alternativa. Essa deve cercare una vera democrazia associativa per sfociare in una società autonoma. Una catena di complicità deve legare tutte le parti. Come nell'informale africano, nutrire la rete dei "collegati" è la base del successo. L'allargamento e l'approfondimento del tessuto di base è il segreto del successo e deve essere il primo pensiero delle sue iniziative. È questa coerenza che rappresenta una vera alternativa al sistema.Al Nord, si pensa prima ai progetti volontari e volontaristici di costruzione di mondi differenti. Alcuni individui, rifiutando in tutto o in parte il mondo in cui vivono, tentano di mettere in atto qualcos'altro, di vivere altrimenti: di lavorare o di produrre altrimenti in seno a imprese diverse, di riappropriarsi della moneta anche per servirsene per un uso diverso, secondo una logica altra rispetto a quella dell'accumulazione illimitata e dell'esclusione massiccia dei perdenti.Al Sud, dove l'economia mondiale, con l'aiuto delle istituzioni di Bretton Woods, ha cacciato dalle campagne milioni e milioni di persone, ha distrutto il loro modo di vita ancestrale, soppresso i loro mezzi di sussistenza, per gettarli e stiparli nelle bidonvilles e nelle periferie Terzo mondo, l'alternativa è spesso una condizione di sopravvivenza. I "naufraghi dello sviluppo", abbandonati a loro stessi, condannati nella logica dominante a scomparire, non hanno scelta per restare a galla che organizzarsi secondo un'altra logica. Devono inventare, e almeno alcuni inventano effettivamente, un altro sistema, un'altra vita.
Questa seconda forma dell'altra società non è totalmente separata dalla prima, e ciò per due ragioni. Innanzitutto, perché l'autorganizzazione spontanea degli esclusi del Sud non è mai totalmente spontanea. Ci sono aspirazioni, progetti, modelli, o anche utopie che informano più o meno questi "fai da te" della sopravvivenza informale. Poi, perché, simmetricamente, gli "alternativi" del Nord non sempre hanno possibilità di scegliere. Anch'essi sono spesso degli esclusi, degli abbandonati, dei disoccupati o candidati potenziali alla disoccupazione, o semplicemente degli esclusi per disgusto… Ci sono dunque possibilità di contatto tra le due forme che possono e devono fecondarsi reciprocamente. Questa coerenza d'insieme realizza un certo modo, certi aspetti che François Partant attribuiva alla sua proposta centrale:dare a dei disoccupati, a dei contadini rovinati e a tutti coloro che lo desiderano la possibilità di vivere del loro lavoro, producendo, al di fuori dell'economia di mercato e nelle condizioni da loro stessi determinate, ciò di cui ritengono di aver bisogno (4).Rafforzare la costruzione di tali altri mondi possibili passa per la presa di coscienza del significato storico di queste iniziative. Numerose sono già state le riconquiste da parte delle forze dello sviluppo delle imprese alternative isolate, e sarebbe pericoloso sottovalutare le capacità di recupero del sistema. Per contrastare la manipolazione e il lavaggio del cervello permanente a cui siamo sottoposti, la costruzione di una vasta rete sembra essenziale per condurre la battaglia del buon senso.
Note 1 Il numero speciale della rivista «L’Écologiste», Défaire le développement, refaire le monde (II,n.4,inverno2001-02),fa il punto sulla questione.
2 La ligne d’horizon. Les amis de François Partant, 7 villa Bourgeois, 92240 Malakoff.
3 Rispettivamente Local Exchange Trading System (Gran Bretagna) e Systèmes d’échanges locaux (Francia): sistemi di scambi locali di beni e servizi che non ricorrono al denaro, come le banche del tempo. 4 F. Partant, La ligne d’horizon, La Découverte, Paris 1988, p. 206
(tratto da www.decrescita.it)
Trattto da : Let us stop speaching abaut the global village.
In Interculture (ediz. Canadese n: 81, 1983) di Raimon Panikkar
Un vero villaggio non prevede di avere una prospettiva globale. Difende la propria visione, i propri colori, suoni e odori. Un villaggio è un grappolo di case, è un vicinato, una parola che deriva dal latino vicus e dal sancrito veshas e che significa casa, abitazione, insediamento di vicini (in spagnolo si dice ancora vecinos).........
Un villaggio non può essere globale. E' al contrario, un microcosmo. La vita si svolge all'interno e non ha quindi bisogno di diffondersi capillarmente su tutto il globo.
Non è una sfera ( un globo) su cui scivolare o attorno alla quale girare. Un villaggio non è mobile e ha radici.
Ha il suo linguaggio, le sue usanze, i suoi ritmi. E ha certamente i suoi furfanti, ma non c'è bisogno dell'interpol per rintracciarli...........
Nulla è più differenziato di un villaggio. All'interno di esso ogni persona ha una faccia, un nome, perfino un soprannome. L'anonimato è impossibile perché gli abitanti del villaggio non sono una massa..........
Ciò di cui abbiamo bisogno sono molti villaggi, ciascuno consapevole di essere il centro del proprio mondo, il cuore dei propri abitanti, ma collegati da sentieri lungo i quali possano viaggiare i pellegrini (non i turisti) tenendo così in contatto un villaggio con l'altro.
La tecnologia è il mondo dei mezzi. Quali sono i fini.
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